La Liguria è come una falce di luna posata sul mare. Il luminoso Tirreno blandisce le sue sponde, le Alpi e gli Appennini – che le stanno a ridosso – la proteggono dai venti e dalle invasioni. Questa lunga, stretta ed arcuata striscia di terra, verde di palme e di ulivi, dalle case variopinte, profumata di fiori, di aranci, di gelsomini e di salmastro, dove maturano le frutta più saporite, dove i vigneti sulle rocce s'inerpicano tra pini e cipressi, dove molli colline si alternano a brusche scoscese riviere, è soltanto apparentemente una regione di terraferma contigua al Piemonte, alla Lombardia, all'Emilia e alla Toscana: in realtà essa è un'isola.
(A. Morassi, Attraverso l'Italia -T.C.I.- Milano 1949)
La Liguria presenta caratteristiche nella conformazione del territorio che la rendono differente dal resto del continente Italia: strette valli si alternano a ripide colline che, presto, diventano montagne, e queste, si rispecchiano nel mare.
In quasi ogni luogo, di questa regione, si può vedere il mare e su quasi ogni colle si trova un castello, un paese, una chiesa o una villa, a ricordare pezzi di storia e a rimodellare un paesaggio in scorci indimenticabili, dove la natura, già generosa, toglie il fiato per tanta bellezza.
La sua posizione geografica, la sua forma arcuata, l'hanno resa un porto naturale ed un crocevia obbligato, pronto ad accogliere scambi culturali e commerciali fin dall'antichità. Di fatto, i primi riferimenti alla viticoltura, in Liguria, si hanno dai contatti con i greci e ancor più con i romani: i primi, approdati lungo le sponde del Tirreno, iniziano le popolazioni a questa coltivazione trasmettendo loro anche le tecniche, i secondi ne migliorano la produzione a livello qualitativo.
Il documento più antico, di questo periodo storico, in Liguria, è del 117 a.C.. Si tratta di una lastra di bronzo, ritrovata in Val Polcevera nel 1506, che riporta l'esito di una controversia attinente ad una questione di confini dove il vino, della Val Polcevera in questo caso, assume valore per il pagamento.
Diverse, comunque, le citazioni, da Strabone a Plinio il Vecchio, e se per il primo i vini liguri erano prodotti in quantità limitata, aspri e resinosi, il secondo ne fa gli elogi nella sua Naturalis Historia, affermando che “I vini lunensi detengono la palma dell'Etruria”.
Le popolazioni liguri amano da subito la vite e l'olivo e nel tempo modellano il territorio per ospitare queste coltivazioni, creando i terrazzamenti tenuti dai muretti a secco, dove ben si adattano, favorite dal clima mite, protetto dai monti e ben ventilato dalle brezze marine.
La vite e l'olivo diventano parte integrante del tessuto economico della regione e ne seguono le fasi storiche. Le navi che salpano dal porto della grande repubblica marinara di Genova, trasportano merci di ogni tipo, tra cui i vini, cosa che ritroviamo ampiamente documentata negli atti notarili che certificano i commerci, così come si trova documentazione dell'esportazione verso il nord Europa del famoso Moscatello di Taggia.
Come le bellezze naturali, i colori e i profumi della Liguria hanno ispirato nel corso dei secoli scrittori e poeti, così i rari vini liguri hanno lasciato tracce nella cultura e nella storia, creando un legame indissolubile territorio-vino che va dritto al cuore.
È un lungo periodo di fortuna e successo per i vini liguri: Francesco Petrarca intesse le lodi dei vini delle Cinque Terre “....così famosi per i dolci pampini che i colli di Falerno e la lodata Meroe si dichiarano inferiori” e mentre il Marchese di Clavesana impone la coltivazione dell'Ormeasco con un editto, Napoleone Bonaparte elegge il Rossese di Dolceaqua a prodotto per suo conforto personale durante la campagna d'Italia.
Sono tantissimi i vitigni coltivati in Liguria, portati dai viaggi e piantati nei piccoli appezzamenti con cui è formato il vigneto ligure, e per gli studiosi del patrimonio vitivinicolo della Liguria l'opera di riferimento da cui partire, è sicuramente la Pomona Italiana, ossia Trattato degli alberi fruttiferi, edita a Pisa (1817-1839) e redatta da Giorgio Gallesio, nato a Finalborgo nel savonese nel 1772.
Laureato in giurisprudenza, funzionario di stato, politico e diplomatico, si ritirò a vita privata per seguire la sua passione primaria ovvero l'agricoltura e realizzare l'opera che lo rese famoso descrivendo in maniera dettagliata le varietà degli alberi da frutto coltivate in Italia,completa di chiari e precisi disegni a colori.
La diminuzione dei traffici commerciali, dovuta all'indebolimento di Genova, indusse molti contadini a riconvertire parte dei terreni ad altre colture, e l'arrivo della fillossera e della peronospora alla fine dell'ottocento segnò fortemente il settore, votandolo al declino.
Nella seconda metà del secolo scorso e più precisamente dagli anni settanta comincia una seppur lenta, ma continua, controtendenza, anche se fino agli anni ottanta/novanta continua l'abbandono del territorio con la diretta conseguenza della riduzione della superficie vitata e della produzione: i giovani migrano verso le città, lasciando le attività agricole prevalentemente in mano alla popolazione anziana. Spesso la produzione vinicola non esce dall'ambito del consumo familiare.
Negli ultimi cinquant'anni, la tenacia di alcuni produttori ed il forte legame tra uomo e territorio, favoriscono la coltivazione dei vitigni locali; l'arrivo delle certificazioni, prima fra tutte nel 1973 quella del Rossese di Dolceacqua e la continua ricerca della qualità rispetto alla quantità, hanno fatto sì che il numero di aziende, seppur di piccole dimensioni, sia in costante aumento, ma soprattutto che molti giovani abbiano intrapreso questa strada come scelta di vita, apportando rinnovamento ed energia a tutto il comparto ben consapevoli che, mai come oggi, agricoltura significa anche conservazione del territorio inteso come patrimonio culturale ed ambientale.